La Ricerca

IL PROGETTO PAESAGGIO RURALE DELLA VALLE DEI TEMPLI

Si può affermare che l’uomo contemporaneo vive essenzialmente quattro diversi paesaggi, il paesaggio urbano, il paesaggio agricolo, il paesaggio industriale e il paesaggio rurale. Di questi i primi tre sono sempre più diffusi e dominanti il quarto è sempre più raro da osservare.
Come distinguere un paesaggio rurale? Cosa si intende per paesaggio rurale?
Il paesaggio rurale è un luogo fisico in cui nel corso dei millenni la vita dell’uomo e lo sviluppo della natura si sono evoluti in modo ininterrotto e in un rapporto simbiotico. Gli altri paesaggi si contrappongono a questo perché l’elemento natura è dominato dall’evolversi della vita umana.

Per la presenza dei Templi ellenici il territorio in cui sorge la Fattoria Valle dei Templi ha conservato integro il paesaggio rurale mediterraneo che risulta essere uno dei principali paesaggi del pianeta perché è il luogo in cui si è affermata la cultura mediterranea.
Il progetto di ricerca diretto dal prof. Giuseppe Barbera ed affidato al dipartimento di Architettura dell’Università Roma 3 è coordinato dalla prof.ssa Giorgia de Pasquale. Ha l’obiettivo di tracciare e catalogare le evidenze che dimostrano la connettivtà tra uomo e natura nell’evoluzione di questo paesaggio millenario esteso circa 700 ettari.

Siamo all’interno di un territorio geologicamente costituito da calcareniti e identificato come “fossa di Caltanissetta” emerso dal Medieterrneo – milioni di anni fa – il quale a seguito dell’isolamento dall’oceano Atlantico ha iniziato un lungo processo di evaporazione diventando un grande lago di sale inospitale per la vita marina. Le rocce di calcarenite ricche di fossili attraverso un lento processo di erosione e di accumulo delle sabbie è andato costituendo un substrato ideale per la crescita di specie vegetali spontanee che tra i 10 e 8 mila anni fa vengono domesticate dall’uomo. Inizia così un lungo processo di adattamento e simbiosi che sarà inarrestabile sino ai giorni nostri.
Il paesaggio rurale è un luogo che muta costantemente senza mai perdere le caratteristiche iniziali, un luogo in cui i fattori si sommano ma mai si sostituiscono.

Per rendere comprensibile il concetto si fa riferimento al ficodindia che è diventato simbolo del territorio, ma che in realtà sopravvive in questo luogo da “appena” 500 anni. Questa infatti è una pianta tipica del continente americano, portata in europa dall’uomo per una specifica ragione.

Nonostante la pianta non ha soddisfatto le esigenze per cui era stata importata, il fico d’india è riuscito ad adattarsi in questo luogo e l’uomo è riuscito a trovarne un impiego per la sua esistenza tanto da diventare una “pianta multiservice”. Essa veniva utilizzata come alimento per il bestiame in sostituzione di alimenti più utili all’alimentazione umana. Per la sua capacità a trattenere acqua è stata utilizzata nella produzione di ortaggi come riserva idrica all’interno della buca di coltivazione per combattere gli stress idrici in fase di radicamento. E’ utilizzato come frangivento per la coltivazione degli ulivi e degli agrumi. Il Paesaggio rurale della Valle dei Templi è ricchissimo di questi elementi che il progetto ha l’obiettivo di preservare, raccontare e trasferire nel futuro.

UN SEME BIOLOGICO PER IL BIOLOGICO

La Strategia europea “Farm to Fork” prevede entro il 2030 che i campi biologici arrivino al 25% della superficie agricola del continente. Ad oggi, però, il biologico copre solo un terzo di questo target – 8% delle terre agricole europee (in Italia il 15,8%) – e tutti concordano che questo numero faticherà a crescere se non si sviluppano semi adatti all’agricoltura biologica. E’ una constatazione oggettiva il fatto che in agricoltura biologica si utilizzano prevalentemente sementi selezionate per l’agricoltura convenzionale. Sementi, che non si adattano al sistema biologico perché selezionate per produrre piante adattate per l’uso di concimi chimici: solitamente con radici superficiali che non sono in grado di andarsi a trovare il nutrimento naturale fornito da un suolo fertile e quindi esigenti in acqua.

Il progetto di ricera diretto e coordinato dal prof. Ferdinando Branca coinvolge diversi istituti scientifici tra cui il dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente dell’Università di Catania, il dipartimento di Bio Economia del CNR, la Fondazione Seminare il Futuro. L’obiettivo del progetto di ricerca è quello di valutare e validare alcune sementi di specie ortive tradizionali siciliane al fine di conservare e riprodurre in situ semi biologici di varietà destinate unicamente al settore del biologico.
Perché in Sicilia?

Il territorio siciliano con i suoi molteplici microclimi, è ricco in biodiversità soprattutto nel settore degli ortaggi ma questa biodiversità agricola ricchissima – risultato del paziente e millenario lavoro di selezione svolto da infinite generazioni di contadini – è continuamente alterata e minacciata dalle logiche della produzione di massa ed in generale dal business del seme.
La Sicilia si presenta estremamente ricca di biodiversità, spesso esclusiva, grazie alla sua insularità, alla presenza di massicci montuosi isolati, all’estrema articolazione pedologica e climatica, in particolare per quanto riguarda il regime pluviometrico. È centro d’origine di molte specie, che rappresentano quasi il 50% dell’intera consistenza della flora d’Italia.

Nell’isola sono conosciute 3.012 entità specifiche ed intraspecifiche della flora vascolare, di cui 2.793 specie, 158 famiglie e 864 generi (Conti et al., 2005b), successivamente elencate ed ampliate a 3.201 da Giardina et al. nel 2007. Per quanto riguarda la flora esotica, le attuali segnalazioni attestano il numero delle xenofite in Sicilia pari ad oltre 320 unità. L’aspetto più caratterizzante è, comunque, la presenza di numerose specie endemiche, 321, comprensive di entità di rango subspecifico (Conti et al., 2005b), tanto che l’isola viene identificata come un importante hotspot.

Ciò determina che in Sicilia – unico caso in Italia – si abbia un numero di endemismi superiore al 5% del totale delle specie presenti sul pianeta.

Si tratta di un contesto dove l’antica coltivazione, l’eterogeneità dei contesti colturali e la sagacia dei coltivatori del passato hanno consentito la costituzione di un patrimonio colturale e genetico unico. Purtroppo, la diffusione di nuovi assetti genetici sta determinando la riduzione dell’impiego di numerose cultivar, che avevano dato buona prova di sé nei contesti colturali tipici siciliani. In atto vi sono sia rischi di scomparsa del patrimonio colturale siciliano, dovuto all’estinzione di alcune specie prevalentemente spontanee e soprattutto di erosione genetica, che si sta determinando a causa dell’introduzione indiscriminata di nuovi materiali genetici che, se da una parte hanno il merito di assicurare più elevate rese, dall’altra stanno comportando la scomparsa di antiche cultivar, dal profilo organolettico, bromatologico e nutraceutico di estremo interesse.

Obiettivo della ricerca è di individuare quei genotipi, che appaiono particolarmente interessanti per il settore del biologico e che per le loro intrinseche caratteristiche hanno la capacità di valorizzare le peculiarità del territorio e di farne un fattore di distinzione per puntare all’eccellenza.

Tutti i genotipi analizzati sono stati, nel tempo, oggetto di attenzione da parte delle comunità locali, e quindi esprimono un forte legame con i contesti socio-economici in cui sono diffusi. Per tali genotipi, l’origine in alcuni casi è autoctona (carciofo, broccolo, cavolfiore, cavolo da foglia), in altri è alloctona benché si siano adattate alle condizioni ambientali dell’isola, diversificandosi. In ambedue i casi si può a buon diritto parlare di “varietà locali siciliane”. Per ciascuna varietà selezionata sarà realizzato un disciplinare di produzione che consentirà di valorizzare la produzione in altri contesti agricoli le cui condizioni climatiche si modificano a seguito dei cambiamenti climatici.

L’USO DI MICROORGANISMI PER PROMUOVERE LA CRESCITA DELLE PIANTE IN BIOLOGICO

L’agricoltura è una delle attività umane che contribuiscono in modo significativo all’aumento degli inquinanti chimici a causa dell’uso eccessivo di fertilizzanti di sintesi e pesticidi, che causano ulteriori danni ambientali con potenziali rischi per la salute umana. La rapida crescita della popolazione mondiale ha reso necessario intensificare la produzione agricola per ottenere rese più elevate al fine di garantire la sicurezza alimentare.

D’altra parte, tra gli inquinanti chimici risultanti dall’attività agricola, il protossido di azoto (N2O), che è prodotto dall’uso eccessivo di fertilizzanti azotati, è una delle principali fonti di gas serra, che causano il riscaldamento globale. Ben il 74% delle emissioni totali di N2O registrate negli Stati Uniti nel 2013 sono state attribuite all’agricoltura. Per ottenere un’agricoltura sostenibile, le colture devono essere resistenti alle malattie, tolleranti allo stress da sale, siccità, metalli pesanti e devono migliorare il valore nutrizionale.

Per raggiungere questi obiettivi, viene offerta una concreta possibilità dall’utilizzo di microrganismi che promuovono la crescita (PGPM) all’interno del suolo di batteri e funghi, i quali sono in grado di aumentare la capacità della pianta di assorbire i nutrienti e l’efficienza di utilizzo dell’acqua oltre che migliorare la resistenza alle malattie delle piante. Numerosi studi hanno dimostrato come i funghi che promuovono la crescita delle piante (PGPF) possono essere utilizzati efficacemente, come i rizobatteri (PGPR) isolati dal suolo o dalla rizosfera della pianta come biofertilizzanti, biostimolanti e induttori di resistenza contro una serie di abiotici e stress biotici. Tuttavia, le interazioni che si creano tra i microrganismi, a coltura e l’ambiente nel suolo, in particolare nella rizosfera, sono molto complessi e possono interferire con l’efficacia dell’applicazione e dell’uso dei PGPM.

I fattori che modulano queste interazioni possono dipendere non solo dalle condizioni ambientali quali la temperatura e il pH del suolo, ma anche dal genotipo e, non ultimo, dalla tipologia di microrganismi già presenti nel terreno. Questa attività di ricerca mira a studiare e comprendere i fattori che possono influenzare gli effetti benefici dell’applicazione dei PGPM e le considerazioni necessarie per massimizzare la loro efficacia per un uso verificato dei microrganismi in agricoltura biologica.

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